Executive Outlook 2025, i principali rischi per la crescita secondo i manager


Il maggiore rischio per la crescita economica e delle aziende, secondo i dirigenti di tutto il mondo, è rappresentato dall’aggiornamento e dalla riqualificazione delle competenze. Un problema che rende difficile stare al passo con le richieste dei clienti, con l’evoluzione dei modelli di business e con le tecnologie.

È ciò che emerge dallo studio Executive Outlook 2025 di Mercer, società di consulenza statunitense specializzata nelle risorse umane, che ha intervistato 400 manager a livello globale, tra cui 175 amministratori delegati, 101 direttori finanziari e 124 C-1. Il problema dell’aggiornamento è stato citato dal 41% del campione e ha staccato nettamente l’incapacità di sfruttare appieno il potenziale della tecnologia, a cominciare dall’IA (25%), e l’impatto dell’economia della longevità (ancora 25%). L’ultimo fattore tiene conto di un’emergenza demografica: nel 2025 il numero di lavoratori che andranno in pensione a livello globale supererà quello complessivo degli ultimi dieci anni.

“Il mercato del lavoro è sempre più povero non solo di lavoratori, ma anche di competenze”, ha commentato Marco Morelli, amministratore delegato di Mercer Italia. “Colmare lo skill gap collegato alle trasformazioni di alcune filiere produttive e al divario di innovazione in cui si trovano l’Europa e l’Italia, in particolare, è tra i punti chiave per il rilancio della competitività”.

Secondo Morelli, la “sfida sul capitale umano” passa “da una profonda revisione dei sistemi professionali e dei modelli di competenze in relazione alla produttività e dei relativi processi di valutazione, miglioramento e riconoscimento. Servono poi investimenti per programmi di formazione continua e di sviluppo di skill digitali, che affrontino insieme anche la riduzione della popolazione in età da lavoro con nuove strategie di gestione intergenerazionale, di talent attraction & management più inclusive e di total reward, che premino l’adozione di nuove tencologie”.

Le soluzioni

Secondo i manager, l’antidoto a queste difficoltà è un ritorno ai fondamentali di business. L’84% dice che chiederà ai dipendenti di concentrarsi sull’efficienza. In questo senso, l’uso dell’intelligenza artificiale e l’automazione dei processi sono considerati gli elementi che avranno il maggiore impatto.

Più nello specifico, le soluzioni più gettonate per il rafforzamento del core business sono joint venture e partnership (64%) e un incremento delle attività di fusione e acquisizione (55%).

Le questioni demografiche – allungamento della vita personale e lavorativa, carenza di persone e mismatch, oggi al 50% in Italia – obbligano le imprese a rivedere il modo di affrontare i pensionamenti e il ruolo delle generazioni più anziane nell’organizzazione. Al riguardo, otto intervistati su dieci sostengono che la leadership potrebbe fare di più: solo il 35% delle imprese proporrà opzioni di pensionamento graduale, perché la permanenza di un lavoratore in azienda, con le sue competenze, porta benefici ai risultati finanziari.

Il prolungamento della carriera pone anche il problema della gestione di generazioni molto diverse, che hanno esigenze e desideri differenti. Una delle istanze portate avanti soprattutto dalle nuove generazioni è quella della trasparenza retributiva. Il 65% dei manager afferma però che, se le loro organizzazioni hanno intrapreso questa strada, hanno dubbi sulla capacità delle aziende di affrontare e risolvere le incongruenze retributive che potrebbero venire alla luce.

Aziende più agili

Tutti questi cambiamenti spingono le imprese verso modelli operativi più agili. I manager chiedono agilità alla forza lavoro e il 79% la desidera nei processi di selezione dei talenti, per indirizzarli verso le priorità aziendali. Sotto questo fronte, il sondaggio registra una svolta rispetto a tre anni fa, quando il 63% degli intervistati riteneva la sua forza lavoro abbastanza agile da permettere la rotazione delle persone da un’area all’altra.

Un’altra difficoltà, segnalata dal 76% dei dirigenti, è dovuta all’impatto dell’intelligenza artificiale generativa, che ha reso più difficile la gestione dei talenti a lungo termine. “Solo l’adozione di un approccio al talento e al reward basato sulle competenze consente sia la flessibilità necessaria, sia la mobilità e la valorizzazione dei medesimi, favorendo la cultura dell’apprendimento continuo”, ha detto Morelli. “In questo contesto si inserisce la necessità di riqualificazione e aggiornamento come rischio strategico da affrontare per la crescita del business, per un corretto match dei talenti e relative skill con le priorità aziendali”.

Breve e lungo termine

La questione della gestione a lungo termine non riguarda solo l’intelligenza artificiale generativa. L’81% del campione ritiene che i leader fatichino a bilanciare la pianificazione strategica di lungo termine con le esigenze operative di breve periodo. Tra le abilità più citate per rendere efficace la leadership c’è quella di comunicare una visione chiara, che aiuta anche ad aumentare il benessere delle persone.

“Alcune capacità e tratti di leadership aiutano meglio a destreggiarsi in contesti volatili e discontinui come quelli degli ultimi anni”, ha aggiunto Morelli. “I leader più efficaci saranno quelli più abili nel concentrarsi sulle aree di maggiore impatto, pur mantenendo la visione necessaria per adeguarsi all’emergere di nuovi rischi e al cambiamento delle priorità. È importante migliorare anche le loro competenze nell’esecuzione della strategia, nella gestione delle performance e nel people management, perché le organizzazioni siano guidate da leader decisi e in sintonia non solo tra loro, ma con l’intera forza lavoro. Senza questa sinergia, dove al centro permanga la responsabilità per una redditività di lungo periodo, le aziende faticheranno a raggiungere i livelli organizzativi necessari per realizzare gli obiettivi di crescita”.

L’effetto IA

L’intelligenza artificiale è naturalmente la prima priorità di business per i manager (54%). In particolare, il 64% dei direttori finanziari afferma che formare la forza lavoro con l’IA è l’azione che aumenterà di più il valore complessivo dell’organizzazione (tra i ceo la quota è del 45%).

L’IA dovrebbe servire a migliorare l’agilità e la produttività della forza lavoro e permettere alle persone di dedicarsi ad attività a maggior valore aggiunto. Il 69% dei responsabili delle risorse umane intervistate nel Global Talent Trends Pulse Survey, però, ha detto di non usare l’IA generativa in alcuna forma.

Morelli sottolinea che già nel 2024 la maggioranza dei C-level italiani indicava come priorità l’investimento nell’adozione dell’IA. “Il tempo, però, sta per scadere”, aggiunge Morelli. “Se le aziende non agiscono ora, potrebbero faticare a tenere il passo con gli early adopter, man mano che le lacune in termine di conoscenze e competenze si amplieranno, mettendo a rischio non solo la sostenibilità della propria organizzazione, ma anche l’occupabilità e il benessere delle persone”.

Un altro tema è l’allineamento tra ceo e cfo, che per l’82% dei manager potrebbe essere maggiore. Solo il 12% degli ad, invece, considera la transizione climatica come un importante fattore di preoccupazione.

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