ANSA
Un incontro in tre round per rassicurare le categorie produttive, con l’ipotesi di un “ombrello” piuttosto ampio sotto cui riparare le imprese italiane dagli effetti della tempesta innescata da Donald Trump. Si parla di una riprogrammazione del Pnrr per 14 miliardi, ai quali potrebbero aggiungersi ulteriori 11 miliardi dai Fondi di coesione e poi altri 7 dal Fondo sociale per il clima. Il tutto, ovviamente, previo confronto con la Commissione Europea e con le Regioni.
È questa la risposta di Giorgia Meloni alle preoccupazioni delle aziende italiane, parte di un piano su tre direttrici che comprende anche il negoziato con Washington e la revisione di alcune regole europee (dal Green deal al Patto di stabilità, passando per le norme sugli aiuti di Stato). Una strategia illustrata ieri sia ai big delle categorie produttive (i primi a essere ricevuti a Palazzo Chigi), sia nei due tavoli successivi con Pmi e agricoltori.
Il capo dell’esecutivo è tornato a chiedere di «non amplificare ulteriormente l’impatto reale che la decisione americana può avere», anche perché le conseguenze dei dazi non sono ancora quantificabili e il negoziato con gli Usa è ancora tutto da costruire. La premier ha confermato che sarà a Washington giovedì 17 aprile e si farà portatrice delle istanze europee, tra le quali anche l’obiettivo indicato lunedì da Ursula von der Leyen: «La sfida da esplorare – ha chiarito Meloni – è la possibilità di azzerare i reciproci dazi sui prodotti industriali esistenti con la formula “zero per zero”».
Ovviamente, nelle intenzioni della premier, l’idea di fare da ponte per l’Unione richiede una contropartita da parte di Bruxelles, che è appunto quella già ipotizzata nei giorni scorsi: «Togliere i dazi che ci siamo autoimposti» e, quindi, le «regole ideologiche e non condivisibili del Green deal». Ma servirà anche «un regime transitorio sugli aiuti di Stato» e la concessione di «una maggiore flessibilità nella revisione del Pnrr, nell’utilizzo dei fondi di coesione e nella definizione del Piano sociale per il clima». Sono questi, infatti, i “pozzi” a cui il governo intende attingere le risorse per il sostegno alle imprese. Per quanto riguarda il Pnrr, l’intenzione è di ripetere quanto accaduto già nel 2023: «Come in quella occasione – ha ricordato la presidente del Consiglio – vogliamo che anche oggi l’eventuale riprogrammazione delle risorse sia il frutto di un intenso lavoro di ascolto. Ed è proprio nella flessibilità del Pnrr che intendiamo chiedere alla Commissione di poter individuare le soluzioni per dare risposte tempestive e concrete al sistema produttivo». Da qui, come detto arriveranno 14 miliardi. Mentre, grazie al lavoro di Raffaele Fitto, dovrebbe esserci spazio di manovra anche sui fondi di Coesione, da cui si dovrebbero attingere fondi per 11 miliardi. Altri 7, infine, sono attesi dal Piano sociale per il clima. In tutto fanno 32 miliardi, di cui 25 diretti alle imprese. Non una cifra banale, che però dovrà passare per l’ok dell’Ue.
Più in generale Meloni guarda a un patto con le categorie produttive (apprezzato come «proposta condivisibile dalla segretaria generale della Cisl, Daniela Fumarola), sulla scorta del quale sarà possibile «fare fronte comune rispetto alla delicata congiuntura economica» e attivare «tavoli di lavoro per individuare una serie di misure utili a sostenere la competitività del tessuto imprenditoriale italiano». Anche per questo ha voluto con sé non solo i vice Antonio Tajani e Matteo Salvini (in video), ma anche i ministri Giorgetti, Urso, Foti e Lollobrigida e i sottosegretari Mantovano e Fazzolari. Una squadra nutrita per una platea esigente, con richieste piuttosto definite: dal costo dell’energia alle difficoltà di accesso al credito, dal rischio crisi di liquidità per le Pmi a una diplomazia economica per aprire nuovi mercati. Tutti, però, hanno chiesto di evitare una guerra commerciale e di fare affidamento su una negoziazione europea «a una sola voce», come sottolineato da Confcommercio, Confagricoltura, Coldiretti e Cia.
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