Un Piano Ue per la casa: questo l’obiettivo di un percorso di consultazioni avviato lunedì al Parlamento europeo con una conferenza organizzata insieme alla Commissione europea per discutere di come garantire ai cittadini una casa a prezzi accessibili, anche attraverso una nuova piattaforma di investimento paneuropea per l’edilizia residenziale sostenibile e a prezzi accessibili. «È il primo passo, un dialogo che andrà ancora avanti» ha detto in apertura dei lavori Irene Tinagli, eurodeputata dem alla guida della Commissione speciale per la crisi abitativa nell’Ue.
La conferenza ha visto tre sessioni di lavoro in cui eurodeputati e rappresentanti di altre istituzioni europee hanno ascoltato gli interventi di autorità nazionali e regionali e di soggetti interessati come sindacati per la casa, rappresentanti di cooperative di costruzione e di studenti universitari. Tra i relatori Housing Europe, Action Logement, il Sindacato internazionale degli inquilini, rappresentanti di banche e costruttori. Si è parlato molto di affitti brevi turistici, di piattaforme digitali e di turistificazione, della necessità di una regolamentazione europea degli affitti brevi, di gentrificazione e di finanziarizzazione della casa.
Anche il Gruppo Bei (la Banca europea degli investimenti e il Fondo europeo degli investimenti) ha avviato un’iniziativa sulla casa insieme alla Commissione Ue, incontrando a luglio scorso circa 300 soggetti pubblici e privati con l’obiettivo di aumentare il sostegno finanziario all’edilizia residenziale. A inizio marzo è stato lanciato un portale unico (More home, better home) per fornire consulenza e finanziamenti al settore dell’edilizia, in partenariato con altre istituzioni bancarie fra cui l’italiana Cassa depositi e prestiti. Il portale fornisce «soluzioni finanziarie a fornitori di alloggi, comuni e aziende del settore abitativo, indipendentemente dalle dimensioni». La Bei ha annunciato un investimento di circa 10 miliardi di euro nei prossimi due anni.
Nulla però si sa delle priorità di questa strategia, dei beneficiari privilegiati, sulla durata dei prestiti e delle condizioni. Il primo problema da risolvere è proprio quello dei tassi di interesse per accedere ai finanziamenti del Gruppo Bei, troppo alti rispetto all’obiettivo sociale dichiarato. In Italia una delle principali voci del debito del comuni è costituita proprio dai tassi di interesse applicati da Cassa depositi e prestiti; nel 2018 l’incidenza media del debito sulle spese correnti comunali era intorno al 12% con punte che superavano il 25%, secondo l’Anci. Senza agevolazioni per accedere al credito che privilegino alcuni soggetti piuttosto che altri l’obiettivo di risolvere la crisi abitativa si allontana.
«È chiaro che le case sono diventate una merce, quindi anche qualcosa su cui si può speculare. Ma la medaglia ha due facce: da un lato, abbiamo bisogno di investitori che investano nel settore immobiliare, ma temo che troppo spesso guardino ai guadagni a breve termine, ai profitti. Lavorerò quindi per valutare cosa possiamo fare a livello europeo nei mercati finanziari per porre rimedio a questa situazione» ha detto durante l’audizione Dan Jørgensen, il commissario per le politiche abitative, in risposta a chi chiedeva con quali strumenti legislativi avrebbe contrasto fenomeni di speculazione. È una questione urgente: l’europarlamentare Ciaran Mullooly ha tuonato contro i fondi speculativi di investimento che «arrivano, alzano il costo delle case, alzano il costo dei mutui e tolgono le case ai giovani».
Sono emerse molte domande, poche certezze e alcune proposte decisive. Tra queste ultime, alcuni deputati e stakeholders hanno posto con forza la necessità di modificare la gestione dell’edilizia sociale, quella realizzata con contributi pubblici per offrire soluzioni a prezzi più bassi di quelli di mercato. Non esiste una definizione condivisa di alloggio sociale e gli Stati membri adottano approcci diversi. Due elementi sono tuttavia ricorrenti: l’accessibilità economica e l’esistenza di regole per l’assegnazione delle abitazioni, definite dal pubblico. In Italia, in verità, anche gli studentati privati sono considerati come social housing ma stanno contribuendo alla crisi abitativa con prezzi più alti di quelli di mercato. Manca infatti una regia pubblica e neanche con 1,2 miliardi di euro del Pnrr si riesce a incrementare il numero di posti perché il governo ha scelto di affidarsi al mercato. A oggi, infatti, dei 60 mila posti letto per studenti promessi ne sarebbero stati creato solo poco più di 11mila, soprattutto privati, secondo l’Unione degli universitari.
A ogni modo, in molti paesi il social housing ha una data di scadenza: è vincolato alla sua funzione per un certo periodo di tempo (in Italia si tratta di otto anni) dopodiché le case possono essere vendute e finiscono nel mercato. Così, se la Spagna ha annunciato un piano per la costruzione di 43mila alloggi di edilizia sociale, negli ultimi anni ne avrebbe persi 2,7 milioni, privatizzati. In Italia sono ancora in corso i piani di alienazione dell’edilizia residenziale pubblica avviati nel 1993, a prezzi di vendita spesso inferiori ai costi di costruzione di nuovi alloggi, ma in un contesto di emergenza abitativa come quello attuale, i piani di vendita dell’edilizia pubblica non sono più giustificabili. Un’altra richiesta emersa alla conferenza è la necessità di costruire case per tutti e non soltanto per alcuni settori della popolazione, quelli più solvibili, i lavoratori dei ceti medi. Tra il 2015 e il 2023 i prezzi delle case nell’Unione Europea sono aumentati in media del 48% e anche la parte più povera della popolazione ha bisogno di case a prezzi accessibili.
La Commissione europea ha già offerto ai Paesi membri la possibilità di raddoppiare gli investimenti per la casa previsti dalla politica di coesione e di utilizzare altri fondi strutturali europei per finanziare una nuova offerta di alloggi a prezzi accessibili: oltre ai fondi per la coesione, l’Europa dispone, tra gli altri, del Fondo per la ripresa e la resilienza, di InvestEU, di Life e di Horizon Europe. Adesso, però, servirebbero misure per ‘sbloccare gli investimenti’ pubblici e privati. Manca una definizione univoca di che cosa sia un alloggio economicamente accessibile (affordable o abbordabile). Marie Linder, presidente dell’Unione internazionale degli inquilini, ha proposto di definire una casa come ‘abbordabile’ quando il suo costo è inferiore al 20% del reddito. Ancora: quali attori saranno privilegiati e che tipo di condizioni verranno poste per ottenere i finanzianti della Bei? Quali sono i limiti dal punto di vista dei costi? Sono diversi i nodi irrisolti, oltre quello dei finanziamenti.
Tra diritto alla casa e incentivi all’edilizia, non è ancora chiara la direzione che il Piano vuole prendere, anche perché il concetto di ‘housing’ sconta una certa ambiguità: può riferirsi a politiche abitative, sociali e a misure edilizie. Ma sono due cose molto diverse. Non a caso ieri è stato citato anche il nodo dei «fenomeni distorsivi» dei bonus. In Italia del Superbonus 100% ha beneficiato soprattutto la popolazione benestante. L’Europa sta affrontando l’emergenza abitativa anche a causa del suo impatto negativo sull’economia. Tra i motivi di attivazione della Bei c’è una crescente preoccupazione per gli effetti della carenza di case a prezzi accessibili sulla crescita economica e la produttività in Europa; il nesso sarebbe confermato da un sondaggio effettuato tra 13mila piccole e medie imprese europee.
Secondo Tinagli «in alcune aree il problema è più legato alla domanda, in altre al tipo di offerta. Ci sono luoghi in cui le nuove costruzioni sono impensabili e si deve lavorare sulle infrastrutture esistenti, sulla ristrutturazione; in altre aree si potrebbe effettivamente alleviare il problema costruendo. Quello che vogliamo fare è fornire un kit di strumenti diversi». Con il 30% di case vuote (il 7% nei comuni turistici), più che per nuove costruzioni, l’Italia potrebbe avvalersi dei finanziamenti europei per ripristinare il fondo per il recupero e l’incremento dell’edilizia residenziale pubblica, oggi in abbandono e in vendita.
Ma le soluzioni e gli strumenti offerti anche grazie al confronto con l’Europa sono molteplici. Alcune delle misure presentate come buone pratiche altrove, come il fondo francese per finanziare alloggi per i dipendenti a basso reddito alimentato da contributi di imprese con più di dieci dipendenti, sono misure simili a quelle che l’Italia aveva e che ha smantellato. Il fondo Gescal che ha finanziato l’edilizia popolare per più di trent’anni con circa due miliardi di euro l’anno è stato cancellato nel 1998. A fine 2001 esistevano ancora quasi 900 milioni di euro di fondi residui non attribuiti, persi nella pancia di Cassa Depositi e Prestiti. A parte questi, però, i fondi non mancano. Adesso bisognerà capire se ci saranno regole chiare su come usarli per risolvere la crisi abitativa.
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