ReArm Europe, paesi divisi al Consiglio Ue: i governi sposano il piano sulla difesa ma non c’è l’accordo sui fondi




Ultim’ora news 21 marzo ore 7


L’Ue avanza sulla difesa comune ma resta incagliata sui fondi da utilizzare. Al Consiglio Europeo di ieri i leader degli Stati membri, tranne l’Ungheria, hanno ribadito il sostegno all’Ucraina e al piano di riarmo di Ursula von der Leyen, già espresso al vertice straordinario del 6 marzo. Un sì di principio, bilanciato però dai tanti dubbi sui modi con cui rilanciare la difesa dell’Europa. A partire dalle risorse.

Le deroghe al Patto di Stabilità

I Paesi più indebitati, come Italia e Francia, temono le ripercussioni sui conti pubblici e potrebbero non chiedere né le deroghe al patto di Stabilità né i prestiti offerti dalla Commissione. Bruxelles ha proposto di attivare entro aprile la clausola nazionale, che permette di investire fino all’1,5% del Pil nella difesa per mobilitare 650 miliardi in quattro anni.

Tali somme non saranno conteggiate nel deficit, quindi non porteranno all’apertura (o all’aggravamento) di una procedura d’infrazione ma faranno aumentare il debito e quindi spingeranno gli investitori a chiedere interessi più alti. Tra quattro anni inoltre il maggior debito non svanirà con un colpo di spugna: i governi dovranno per forza ridurlo con manovre che potrebbero sottrarre risorse a sanità o istruzione. Una beffa per l’Italia, che già dal 2026 punta a riportare il deficit in linea con i parametri europei (3%).

I dubbi sugli eurobond 

I pericoli sono simili anche per i 150 miliardi di prestiti diretti dell’Europa con il piano «Safe», garantiti dal bilancio Ue: in sostanza gli eurobond, con la provvista poi girata agli Stati. Il vantaggio in questo caso è nella possibilità di indebitarsi a un tasso ridotto, pari al 3,2-3,3% secondo la Commissione. Ma si tratta di soldi che in ogni caso che gli Stati devono restituire: ecco perché la Spagna continua a chiedere contributi a fondo perduto da parte dell’Europa.

La Germania invece non è interessata ai prestiti, visto che si indebita da sola a tassi inferiori. Berlino preferirebbe allargare ancora le maglie del Patto di Stabilità, allungando la durata della deroga oltre i quattro anni. Ci sono poi Paesi frugali come l’Olanda che restano contrari a qualsiasi forma di debito. Così anche il nuovo debito comune rischia di non essere sfruttato.

In cerca di partner

Senza contare che non è facile ottenerlo. Bruxelles vuole usarlo per stimolare la cooperazione tra Stati, anche attraverso acquisti congiunti di armi con almeno il 65% di componenti europei. Per accedere al meccanismo i governi dovranno presentare progetti comuni o con un Paese della zona Efta (Islanda, Liechtenstein, Norvegia e Svizzera), più l’Ucraina.

La Francia preferisce restringere le collaborazioni solo a partner europei per valorizzare la forte produzione nazionale di armi. Grecia e Cipro invece sono contro l’allargamento a rivali come la Turchia mentre Italia e Germania vorrebbero tra i partner Regno Unito e Stati Uniti, con cui hanno accordi nella difesa.

Il pericolo dazi

Escludere gli americani da Safe sarebbe controproducente anche lato dazi. Donald Trump chiede da tempo agli europei di comprare più armi statunitensi e minaccia di rafforzare le tariffe commerciali in caso contrario. La Commissione ha risposto con durezza a quelle già annunciate dagli Usa ma tiene la porta sempre aperta ai negoziati.

Ieri il commissario al Commercio, Maros Sefcovic, ha parlato di possibile rinvio a metà aprile della prima ondata di dazi europei, prevista per il 2 aprile. In questo modo spera di ottenere più tempo per negoziare.

L’opzione capitali privati

L’Unione dovrà fare i conti anche con la richiesta americana di portare i fondi per la difesa dal 2 al 3% del Pil. Se ne discuterà al vertice Nato di giugno e un eventuale rifiuto dell’Europa potrebbe spingere gli Usa ad abbandonare l’Alleanza. Una minaccia simile può sbloccare l’impasse sui fondi per il riarmo, costringendo anche i più restii a digerire il debito comune.

Per facilitare l’accordo la Commissione continua a studiare la proposta italiana sui capitali privati. Ieri Giorgia Meloni ha ribadito l’idea di usare meccanismi come InvestEu, che attraverso garanzie pubbliche potrebbero arrivare a mobilitare fino a 200 miliardi di fondi terzi grazie all’effetto leva. L’alternativa sono strumenti europei davvero comuni. Quindi senza impatto diretto sul debito degli Stati membri. (riproduzione riservata)



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